Indice

  • Introduzione
  • L’ottenimento indebito del beneficio
  • Modalità illecite di ottenimento dell’appalto
  • Attestazioni non veritiere
  • Responsabilità dell’ente ai sensi del D.lgs 231/2001

 

Link al teso integrale del d.l. 34/2020.

Appendice Normativa

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INTRODUZIONE

Il D.l. 34/20 all’art. 119 ha previsto un bonus fiscale del 110% sottoforma di detrazione per le spese “documentate e rimaste a carico del contribuente, sostenute dal 1° luglio 2020 e fino al 31 dicembre 2021, da ripartire tra gli aventi diritto in cinque quote annuali”.

La misura, certamente molto vantaggiosa, si applica a diverse categorie di opere di seguito sinteticamente riassunte:

– interventi di isolamento termico delle superfici opache verticali e orizzontali che interessano l’involucro dell’edificio con un’incidenza superiore al 25 per cento della superficie disperdente lorda dell’edificio medesimo. In questo caso la detrazione non può superare un ammontare complessivo di 60.000 € moltiplicato per le unità abitative presenti nel condominio. (art. 19 c. 1, lett. a)

–  interventi sulle parti comuni degli edifici per la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti centralizzati per il riscaldamento, il raffrescamento o la fornitura di acqua calda sanitaria a condensazione, con efficienza almeno pari alla classe A di prodotto, a pompa di calore, ivi inclusi gli impianti ibridi o geotermici, anche abbinati all’installazione di impianti fotovoltaici e relativi sistemi di accumulo, ovvero con impianti di microcogenerazione. In questo caso l’ammontare non può essere superiore a 30.000 € moltiplicato per ogni unità abitativa. (art. 19 c. 1, lett. b)

– interventi sugli edifici unifamiliari adibiti ad abitazione principale per la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti per il riscaldamento, il raffrescamento o la fornitura di acqua calda sanitaria a pompa di calore, ivi inclusi gli impianti ibridi o geotermici, anche abbinati all’installazione di impianti fotovoltaici e relativi sistemi di accumulo, ovvero con impianti di microcogenerazione. (art. 19 c. 1, lett. c)

– interventi di efficientamento energetico di cui all’articolo 14 del D.l. n. 63 del 2013[1], convertito, con modificazioni, dalla legge n. 90 del 2013, nei limiti di spesa previsti per ciascun intervento di efficientamento energetico previsti dalla legislazione vigente e a condizione che siano eseguiti congiuntamente ad almeno uno degli interventi precedentemente indicati. (art. 19 c. 2)

In tutti i casi, gli interventi, realizzati anche insieme all’installazione di impianti fotovoltaici e dei relativi sistemi di accumulo dovranno assicurare il miglioramento di almeno due classi energetiche dell’edificio, ovvero, se non possibile, il conseguimento della classe energetica più’ alta, da dimostrare mediante l’attestato di prestazione energetica (A.P.E), n. 192, ante e post intervento, rilasciato da tecnico abilitato nella forma della dichiarazione asseverata.

Come espressamente stabilito dall’art. 119 c. 15, le spese detraibili sono comprensive anche di quelle sostenute per rilascio delle attestazioni e delle asseverazioni che si vedranno sinteticamente più avanti.

Ai sensi dell’art. 121, D.l. la detrazione fiscale di cui all’art. 119, può essere convertita  in un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto fino a un importo massimo pari al corrispettivo dovuto, anticipato dal fornitore che ha effettuato gli interventi e da quest’ultimo recuperato sotto forma di credito d’imposta, con facoltà di successiva cessione del credito ad altri soggetti, ivi inclusi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari. (art. 121 c. 1 lett. a)

Diversamente, il contribuente può optare per la trasformazione del corrispondente importo in credito d’imposta, con facoltà di successiva cessione ad altri soggetti, ivi inclusi istituti di credito e altri intermediari finanziari.

In entrambi i casi è necessario un visto di conformità delle opere realizzate, rilasciato al contribuente ai sensi dell’art. 119 c. 11, e  l’asseveramento delle spese sostenute ai sensi dell’art. 119 c. 13.

Il tenore della norma, che apre a numerose problematiche interpretative connesse alla sua concreta applicazione (per le quali saranno necessari ulteriori provvedimenti attuativi ed esplicativi i quali esulano dal contenuto della presente relazione), impongono di riflettere in merito alla possibile attivazione dell’ordinamento penale in presenza di talune situazioni che realisticamente potrebbero verificarsi.

Lo strumento  qui sinteticamente descritto rende il suo ottenimento particolarmente appetibile, aumentandone l’interesse ed amplificando, conseguentemente, il rischio di potenziali violazioni delle disposizioni che ne regolano i requisiti.

Considerata la natura del beneficio, la sua cedibilità e la complessità degli interventi che ne rappresentano il presupposto, sono diversi i profili nei quali la responsabilità penale può emergere.

 

L’OTTENIMENTO INDEBITO DEL BENEFICIO

Le disposizioni di cui agli artt. 119 e 121 del Decreto prevedono che gli importi dei lavori ivi previsti possano rilevare in tre differenti modi tra loro alternativi:

– in via generale, quale detrazione della quale può beneficiare il committente nella misura del 110 % dell’importo secondo le modalità e i limiti previsti dalla disposizione;

– quale detrazione a beneficio del “fornitore” qualora questi opti per uno sconto in fattura assumendosi i costi dei lavori effettuati;

– quale credito di imposta ceduto nel caso in cui il committente ceda ad un terzo il proprio credito nei confronti dell’erario;

In tutti i casi, vi è un beneficio fiscale rilevante che si manifesta quale risparmio nel versamento di importi dovuti a vario titolo all’Erario.

Nel caso di ottenimento della prestazione attraverso una condotta fraudolenta, vista la presumibile modalità di riconoscimento della detrazione (che non dovrebbe prevedere un controllo immediato da parte dell’ente impositore) potrebbe venire in rilievo l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 316 ter c.p.

“art. 316-ter. Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato

Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640-bis, chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri.

Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96 si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.822. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito.”

Il delitto in questione sanziona il consapevole ottenimento indebito di “contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee” avvenuto mediante un’attività fraudolenta, tesa a prospettare una falsa realtà, rispetto alla quale non vi sia stato un controllo di conformità al vero da parte dell’Ente (nel qual caso si verserebbe nella più grave ipotesi di truffa aggravata di cui all’art. 640 bis c.p.).

Il fatto che nel caso concreto il beneficio sia rappresentato da un risparmio di spesa e non già da una erogazione pubblica non ha rilevanza: la giurisprudenza penale si è ormai stabilmente consolidata nel ritenere la punibilità di queste ipotesi assimilandole ad erogazioni[2].

Sul piano pratico, il reato in questione potrebbe venire in rilievo in diverse situazioni tra le quali possono elencarsi, senza pretesa di esaustività, le seguenti:

1- Ottenimento del beneficio per lavori in tutto o in parte non eseguiti;

2- Ottenimento del beneficio in misura superiore al dovuto per sovrafatturazione;

3- Ottenimento del beneficio a seguito di falsa attestazione in ordine al rispetto dei presupposti di legge (come nel caso in cui non siano apportate effettive migliorie sotto il profilo dell’efficienza energetica dell’edificio).

Come si può intuire dagli esempi, i soggetti che potrebbero essere chiamati a rispondere penalmente possono variare. Chi chiede il beneficio (committente) potrà risponderne salvi i casi in cui non dimostri di aver effettivamente pagato la somma per la quale si chiede la detrazione, di non avere conoscenza del fatto che il risultato dei lavori non corrisponde a quanto richiesto legislativamente, oppure (cessionario) di avere acquistato un credito di imposta ritenendo in buona fede che questo fosse legittimo (in questo caso il cedente potrebbe anche dover rispondere per truffa nei confronti del cessionario).

Il diritto penale conosce l’istituto del concorso di persone nel reato (art. 110 c.p.) in ragione del quale possono essere chiamati a rispondere più soggetti che abbiano realizzato una frazione dell’attività illecita o che abbiano collaborato con il realizzatore purchè si dimostri per ciascuno la rilevanza del loro contributo (causalità agevolatrice) e una volontà indirizzata in tal senso (dolo).

A tale riguardo, non appare opportuno che l’impresa esecutrice dei lavori o il soggetto finanziatore utilizzino diretta dei professionisti che devono effettuare le asseverazioni, risultando più adeguata la loro formale indicazione e nomina da parte del  committente.

Quanto al piano sanzionatorio, oltre alla previsione della pena detentiva (sei mesi a tre anni di reclusione o, nelle ipotesi aggravate, uno a quattro anni),  in caso di condanna è stabilita altresì la confisca dei beni che costituiscono il profitto del reato ai sensi dell’art. 322 ter c.p..

La nozione di profitto ricomprende le conseguenze economiche immediate o i vantaggi direttamente o indirettamente conseguiti dal reato (quindi anche il risparmio di spesa).

Onde garantire la confisca, che può essere eseguita in occasione della irrevocabilità della sentenza, è sempre applicata per questi reati la misura cautelare del sequestro preventivo regolato dall’art. 321 c.p.p.

Il sequestro sul denaro (che in queste ipotesi è misura prevalente) si attua mediante il pignoramento delle somme che vengono sottratte alla disponibilità del proprietario.

Nel caso di reato realizzato col concorso di più persone, la somma costituente il profitto del reato può essere sequestrata anche solo ad uno dei concorrenti e mai in misura superiore a quanto forma oggetto della contestazione. Secondo un consistente orientamento giurisprudenziale l’entità del sequestro deve essere pari alla complessiva somma risparmiata anche nei casi in cui la parte indebitamente ottenuta rappresenti solo una frazione di una più ampia quota[3].

Vista la particolare natura del profitto, soprattutto nel caso dei reati connotati dal risparmio di spesa, il menzionato art. 322 ter c.p. consente l’applicazione della c.d. confisca per equivalente (alla quale è funzionale una simmetrica ipotesi di sequestro) che si esegue mediante l’ablazione di beni (mobili o immobili) appartenenti all’interessato aventi un valore equivalente a quello del profitto contestato.

Questa ipotesi di reato rappresenta, infine, un presupposto per l’applicazione della responsabilità amministrativa degli enti, come disciplinata dal D.lgs 231/2001 del quale si accennerà alla conclusione del presente documento.

 

MODALITA’ ILLECITE DI OTTENIMENTO DELL’APPALTO

Una situazione patologica emersa in talune realtà marginali riguarda alcune prassi connesse all’accaparramento delle commesse.

In particolare, si tratta dei casi nei quali l’appalto viene affidato a seguito della corresponsione o della promessa di una somma a beneficio dell’amministratore di condominio infedele.

È importante evidenziare come, in questo tipo di dinamiche, la funzione dell’amministratore di condominio rivesta un ruolo centrale derivandone, nelle ipotesi di infedeltà al proprio ufficio, rilevanti conseguenze sotto il profilo civilistico e penalistico.

Da ciò può derivare una speculare responsabilità in capo all’impresa stante il collegamento intercorrente con l’amministratore medesimo.

Tralasciando le evidenti responsabilità civilistiche che possono ricadere in capo all’amministratore di condominio, le ipotesi di reato ipotizzabili in questi casi possono essere quanto meno due:

– si dibatte se l’amministratore di condominio possa rispondere del delitto previsto dall’art. 2635 c.c. che stabilisce “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, di società o enti privati che, anche per interposta persona, sollecitano o ricevono, per sé o per altri, denaro o altra utilità non dovuti, o ne accettano la promessa, per compiere o per omettere un atto in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni. Si applica la stessa pena se il fatto è commesso da chi nell’ambito organizzativo della società o dell’ente privato esercita funzioni direttive diverse da quelle proprie dei soggetti di cui al precedente periodo”.

Il fondamento di tale impostazione risiede nell’espressa inclusione degli amministratori di enti privati tra i potenziali soggetti attivi del delitto, concetto, quello di “ente privato” che alla luce di una nozione di condominio quale soggetto dotato di  soggettività giuridica, sebbene sfumata.

Non possono esservi, invece, dubbi in ordine alla riconducibilità, nell’ambito degli “atti posti in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà”, delle condotte di assegnazione dell’appalto al corruttore senza previa valutazione di altre offerte o, comunque, in lesione dell’interesse del condominio stesso.

Nel caso di contestazione del delitto di corruzione tra privati, prevede il terzo comma dello stesso art. 2635 c.c. che il corruttore risponda con le stesse pene del corrotto (da uno a tre anni di reclusione).

Anche in questa ipotesi è contemplata la confisca e il sequestro avente ad oggetto il prezzo della corruzione (dato o anche solo promesso) il quale può essere appreso, alternativamente, dal presunto corrotto o dal presunto corruttore.

– Altro delitto che può essere contestato all’amministratore è quello di truffa ai sensi dell’art. 640 c.p.

Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032

In tal caso il delitto potrebbe essere commesso dal fornitore, in concorso con l’amministratore, qualora quest’ultimo conceda l’appalto al primo ingannando l’assemblea in ordine alla vantaggiosità delle condizioni proposte o alla realizzazione della lavorazioni previste.

Il reato si configurerebbe ove si dimostrasse che l’amministratore ha celato dolosamente offerte più vantaggiose sotto il profilo economico o qualitativo.

Chiaramente, tale contestazione muove dalla dimostrazione del previo accordo tra amministratore e impresa che potrebbe trovare un valido fondamento nella corresponsione di somme tra le parti e dalla parallela presenza di migliori offerte conosciute e presentate all’amministratore o di progetti economicamente equiparabili ma preferibili sotto il piano qualitativo.

Il discrimine tra l’affidamento dannoso ma dipendente da una negligente valutazione delle offerte ed il comportamento doloso, nell’ottica della dimostrazione, potrebbe rinvenirsi nella dimostrazione dell’esistenza di un rapporto remunerato tra l’amministratore e l’impresa o il finanziatore.

 

ATTESTAZIONI NON VERITIERE

L’ultimo profilo da analizzare concerne i casi nei quali il soggetto attestatore dichiari il falso.

In tal caso il Decreto stabilisce all’art. 119 c. 14: “Ferma l’applicazione delle sanzioni penali ove il fatto costituisca reato, ai soggetti che rilasciano attestazioni e asseverazioni infedeli si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 a euro 15.000 per ciascuna attestazione o asseverazione infedele resa. I soggetti stipulano una polizza di assicurazione della responsabilità civile, con massimale adeguato al numero delle attestazioni o asseverazioni rilasciate e agli importi degli interventi oggetto delle predette attestazioni o asseverazioni e, comunque, non inferiore a 500 mila euro, al fine di garantire ai propri clienti e al bilancio dello Stato il risarcimento dei danni eventualmente provocati dall’attività prestata. La non veridicità delle attestazioni o asseverazioni comporta la decadenza dal beneficio.”

La sanzione amministrativa prevista non completa il quadro delle possibili violazioni realizzabili dall’attestatore.

Questi, svolgendo un compito pubblicistico, assume il ruolo di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio incorrendo nel delitto di cui all’art. 480 c.p. nell’ipotesi di falsa attestazione.

“Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente in certificati o autorizzazioni amministrative, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione da tre mesi a due anni.”

Ai sensi dell’art. 493 c.p. alla stessa pena soggiace l’incaricato di pubblico servizio.

La sanzione penale e quella amministrativa non possono concorrere. Il loro rapporto è disciplinato dalla clausola di salvaguardia che introduce l’art. 119 c. 14 (“Ferma l’applicazione delle sanzioni penali ove il fatto non costituisca reato”) che fa salva l’applicazione del reato, delimitando uno spazio residuale all’illecito amministrativo che potrà trovare applicazione solo nei casi in cui non vi sia il reato, rinvenibili laddove difetti uno degli elementi oggettivi o, più probabilmente, soggettivi. L’ipotesi più credibile potrebbe essere quella di un errore nell’asseverazione che esclude la volontà di creare il contenuto falso, residuando una responsabilità colposa ove si dimostri che l’errore medesimo è dipeso da un comportamento connotato da negligenza, imprudenza o imperizia.

Nel caso del reato di falso, valgono le medesime regole già viste in tema di concorso di persone nel reato: l’imprenditore, il committente ed eventualmente altri terzi (l’amministratore o il cessionario del credito) potranno essere chiamati a rispondere del fatto illecito laddove si dimostri a loro carico un contributo agevolativo dell’altrui condotta e la consapevolezza dell’attività delittuosa realizzata.

  

RESPONSABILITA’ DELL’ENTE AI SENSI DEL D.LGS 231/2001

In caso di realizzazione dei reati di cui agli artt. 316 ter e 2635 c.c. c. 3 sono previsti gli illeciti amministrativi dei quali può rispondere la persona giuridica cui appartiene il soggetto che ha commesso il reato, ai sensi del D.lgs. 231/2001.

La responsabilità amministrativa dell’ente si realizza quando un soggetto, apicale o subordinato, realizza un reato che si dimostri essere stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso, termini vaghi per designare un concreto incremento patrimoniale del quale il soggetto giuridico ha beneficiato o un mero vantaggio potenziale.

La responsabilità dell’ente ai sensi del D.lgs 231/2001 sussiste, inoltre:

– quando non sia stato adottato un modello di organizzazione gestione e controllo disciplinato dal medesimo Decreto Legge

– in presenza del Modello, quando questo sia risultato inidoneo o non sia stato attuato efficacemente;

– in presenza del Modello quando non sia stato nominato un organismo di vigilanza o quando questo abbia omesso i suoi compiti;

– se non si dimostra che il soggetto apicale ha eluso fraudolentemente il Modello

– se si dimostra che il soggetto sottoposto ha realizzato il reato a causa dell’inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza stabiliti dal Modello.

Le sanzioni a carico dell’ente sono di due tipi:

-pecuniarie: stabilite per ciascun illecito in quote il cui valore varia da un minimo di euro 258 ad un massimo di euro 1.549;

– interdittive che consistono nella inibizione all’esercizio di determinati tipi di attività ovvero di tutta l’attività per un periodo temporale circoscritto.

È inoltre prevista la confisca che, ai sensi dell’art. 19 del Decreto Legislativo ha ad oggetto il prezzo o il profitto del reato.  Quando non è possibile eseguire la confisca a norma del comma 1 dell’art. 19 , la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato.

In altri termini, si tratta di una confisca speculare a quella già vista ed avente il medesimo oggetto.

Chiaramente, vista la sovrapponibilità non è possibile l’applicazione di entrambe le confische (e di entrambi i sequestri preventivi) ostandovi il principio per cui più provvedimenti cautelari possono concorrere fino al raggiungimento dell’importo del profitto stabilito che non può pertanto essere moltiplicato.

Venendo al caso di specie in relazione alla commissione del delitto di cui all’art. 316 ter c.p., l’art. 24 del D.lgs 231/2001, prevede la sanzione pecuniaria fino a 500 quote, oppure, nei casi di profitto rilevante, la sanzione pecuniaria da 200 a 600 quote. In ogni caso, sono altresì previste le seguenti sanzioni interdittive:  il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi; il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Come già indicato, in relazione a questa ipotesi è prevista la confisca del profitto conseguito.

In relazione al delitto di cui all’art. 2635 c. 3 (il reato commesso dal corruttore), l’art. 25 ter c. 1 lett. s-bis), D.lgs 231/2001, stabilisce la sanzione pecuniaria  da 400 a 600 quote e le seguenti sanzioni interdittive:   l’interdizione dall’esercizio dell’attività; sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;  esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi.

In relazione a questa materia e alle sanzioni indicate centrale è, pertanto, l’adozione di un Modello di organizzazione gestione e controllo aggiornato, adeguato ed efficace in relazione al quale deve essere prevista l’attivazione di un Organismo di Vigilanza dotato di idonei poteri e delle caratteristiche di terzietà ed imparzialità.

avv. Stefano Savi

avv. Riccardo Savi

[1] Norma che regola gli interventi  di  sostituzione  di impianti di riscaldamento con pompe di calore ad alta  efficienza  ed impianti geotermici a bassa  entalpia  nonche’  delle  spese  per  la sostituzione di scaldacqua tradizionali con  scaldacqua  a  pompa  di calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria.

[2] Si veda Cass. SSUU, 16 dicembre 2010, n. 7537: “nel concetto di conseguimento indebito di una erogazione da parte di enti pubblici rientrano tutte le attività di contribuzione ascrivibili a tali enti, non soltanto attraverso l’elargizione di una somma di denaro, ma pure attraverso la concessione di esenzione dal pagamento di una somma agli stessi dovuta.”

[3] Cass. Sez. II Sent., 18 aprile 2018, n. 33092